Un interessante articolo pubblicato sull’ultimo numero di Mercato,  concorrenza e regole (C.Osti, Il mercato fuori di sé, in Mercato,  concorrenza e regole, Il Mulino, 2010, 2, pag. 311 e ss.) ci ricorda come la psicologia comportamentale aggiunga ai più classici fallimenti del  mercato (potere di mercato, asimmetria informativa, esternalità)  l’irrazionalità di consumatori e imprese.
I consumatori sempre più spesso non agiscono in modo razionale ma   agiscono in modi molto diversi dalla massimizzazione dell’utilità,  modificano le preferenze senza ragioni plausibili, determinano le  preferenze in modi diversi dal rapporto costi / benefici, esibiscono  preferenze affette da vari generi di irrazionalità. Insomma, mostrano  una spiccata tendenza ad adottare decisioni e a formare opinioni  chiaramente errate e ad agire spesso e visibilmente contro il proprio  interesse. Le imprese, continua l’Autore, tendono a sfruttare questa  irrazionalità e i vizi cognitivi dei consumatori, evitano di educarli  (ad esempio, rendendoli edotti della migliore qualità dei propri  prodotti per poter spuntare un prezzo più alto) e cercano di manipolare  le deficienze cognitive dei consumatori, inducendole o rafforzandole.
Questa situazione, che riguarda in prima battuta il  lato statico della concorrenza, si riflette anche sul suo lato dinamico.  Posto che i consumatori non sono in grado di valutare quale prodotto  sia migliore, sono suscettibili di farsi manipolare dalla pubblicità e  dagli altri artifici, le imprese hanno un limitato interesse ad investire in  innovazione, ed hanno invece un interesse molto più spiccato ad  investire in pubblicità, promozione, marketing.
Neppure le imprese, però, sarebbero immuni dall’irrazionalità: non tutte  le scelte degli amministratori sono orientate a massimizzare i  profitti, ma sono influenzate da eccesso di ottimismo, tendenza alla  cooperazione, senso di equità e solidarietà. A questi fattori, che non  sembrerebbero particolarmente negativi (ma solo se non letti in chiave  economica), l’autore ne affianca uno che invece riveste un grande  interesse, e che merita di essere citato per esteso e non soltanto  riassunto:
“In un mondo ove spesso gli amministratori indulgono, sotto gli occhi di  tutti, in comportamenti infantili (la macchina più potente, lo yacht  più lungo, la moglie più giovane, il bonus più ricco) non è poi così  difficile pensare che questo tipo di comportamenti  possa avere una  rilevanza sulle decisioni imprenditoriali”.
Quando ho letto l’articolo, e in  particolare quest’ultimo brano, mi è subito venuta in mente la carenza  di investimenti in innovazione che ha portato alla situazione attuale (a  qualcuno viene in mente un distretto toscano dove le ville al mare e le  macchine di lusso sono state privilegiate agli investimenti in  R&D?).
Il secondo pensiero è stato a come migliorare, sia nella produzione di  servizi che in quella di beni. Uno strumento sono le reti d’impresa, e  in particolare il contratto di rete, tramite il quale promuovere  l’aumento capacità innovativa e della competitività sui mercati. Il contratto di rete naturalmente non incide sul rapporto imprese / consumatori né sulle carenze di questi ultimi, ma può determinare un controllo incrociato degli amministratori, riducendo il rischio che siano prese decisioni fondate sui comportamenti infantili evidenziati nell’articolo. Che consiglio a tutti di leggere.
